Quale futuro per i parchi nazionali?
La manovra del 2010 ha fortemente segnato il cammino dei parchi, palesando la crisi della politica ambientale in Italia. La norma “dimezza parchi” del 2010 aveva suscitato lo sdegno di molti. Eppure è sopravvissuta alla conversione del decreto legge 78 del 2010, al mille proroghe e, infine, alla manovra del 2011. Gli effetti della recente legge di stabilizzazione sono ancora tutti da verificare; di certo, però il consistente ridimensionamento del Ministero dell’Ambiente non fa presagire nulla di buono: al bilancio del dicastero si prevede di tagliare 25,7 milioni di euro nel 2012, 30,8 milioni di euro nel 2013 e ben 57,5 milioni di euro nel 2014 (allegato C, decreto legge 98/2011).
Per non parlare della “reinterpretazione” delle spese obbligatorie (art. 10, comma 15, decreto legge 98/2011) la cui copertura pare fino ad ora aver assicurato la dignitosa sopravvivenza dei parchi nazionali.
Il 23 luglio del 2010, anche sfidando lunghi viaggi e un torrido caldo, si tenne un sit-in di gente dei parchi a Roma, con la partecipazione ampia di associazioni di settore, ambientaliste e culturali. Fu forse l’apice di una mobilitazione nel segno della difesa e del rilancio delle aree protette italiane. Una mobilitazione volta a rappresentare alle istituzioni e ai cittadini che l’Italia vanta un sistema di aree protette di tutto rispetto, ma in condizioni operative assai critiche derivanti da anni di tagli e limitazioni di ogni genere. I manifestati, ricevuti al Ministero dell’Ambiente. consegnarono un simbolico scrigno contenente i valori della biodiversità, custoditi e tutelati dai parchi per le future generazioni, con la speranza di vederlo restituire con l’assicurazione di poterne garantire la gestione come convenzioni internazionali e leggi italiane comandano, con un minimo di risorse, umane e finanziarie.
Ma non ci pare che si stiano creando le condizioni per poter restituire “lo scrigno della natura”. E per il già risicato personale delle aree protette, il futuro non è certo roseo: proseguono le limitazioni e le restrizioni che mettono in crisi strutture già ridotte all’osso. Contemporaneamente le aree protette, enti pubblici, vivono tra l’altro l’aggravio della complessità delle procedure amministrative, ora nascoste da sigle oscure ma ben note agli addetti.
Il Parco Nazionale dello Stelvio continua a non vedere soluzione per la declassazione a parco interprovinciale. Le aree protette regionali non sono esenti da un periodo di incertezza e di modifiche profonde (si veda l’esempio dei parchi lombardi). Le aree marine protette sono sempre in una situazione imbarazzante. Le trivellazioni petrolifere alle Tremiti non sono scongiurate. Buone notizie per la conservazione: in Piemonte l’assessore regionale all’agricoltura chiede la soppressione di alcuni lupi. Proseguono varie proposte sull’autofinanziamento, assai di moda.
Ci siamo già espressi al riguardo: siano assicurate le risorse necessarie per aumentare l’ottenimento dei fondi comunitari, ma ben vengano anche contributi su specifici progetti, a patto che la primaria azione di tutela di beni comuni avvenga sempre con i fondi pubblici, per evitare ogni condizionamento. Ci convincono meno alcune proposte, come le compensazioni monetarie conseguenti alle derivazioni d’acqua per scopi idroelettrici produttivi (in molti casi gli interventi creano impatti notevoli in aree di alto valore paesaggistico e di biodiversità) .
E’ la tutela ambientale italiana, baby, verrebbe da dire parafrasando il vecchio Bogart. Le varie associazioni di settore e non, per contro, hanno continuato a fare rete. Salutiamo la positiva esperienza del Gruppo di S. Rossore. Del domani? Non c’è certezza. Sulla modifica della legge 394 (anzi, sulla sua manutenzione, come affermato dal presidente della Commissione Ambiente del Senato), si attendono, ma non si auspicano, sviluppi. Confidiamo, anzi ne siamo convinti, che si debba attuarla, la 394, migliorandola ma mantenendone gli istituti che hanno permesso di costruire in Italia un significativo patrimonio di cultura della tutela del territorio, ridando vita ad aree spesso marginali e capitalizzando la conservazione con la qualità dei territori, anche ai fini del turismo consapevole e relativo cospicuo indotto locale.
Insomma, se ci sono termini che inquadrano il futuro, scegliamo: incertezza, ma anche rilancio, rete e partecipazione.