Il 21 Novembre è la Giornata Nazionale dell’Albero. Una iniziativa riesumata, nel 2013, dal Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e che prende il posto di quella che un tempo era la Festa degli Alberi, istituita nel 1898 dallo statista Guido Baccelli, che ne aveva intuito l’elevata valenza educativa.
Rivolta soprattutto alle scuole di ogni ordine e grado, alle università e agli istituti di istruzione superiore, essa individua il sistema albero e il sistema bosco quali strumenti utili per promuovere valori etici e culturali, in grado di alimentare il progresso civile, sociale, ecologico ed economico di una società. Molte iniziative, quest’anno, non possono essere celebrate “in presenza” a causa delle restrizioni in atto per il Coronavirus, tuttavia, proprio questa situazione può costituire l’occasione per riflettere sul ruolo degli alberi e cogliere il loro tacito messaggio.
Questi autentici ambasciatori della natura, infatti, non sono solo fabbriche per la produzione di legno o depositi di materie prime da utilizzare, ma formano habitat complessi che forniscono servizi ecosistemici indispensabili per far fronte alle emergenze di questi tempi. Sono testimoni, inoltre, di una logica universale che non può rimanere inascoltata.
Continuiamo a ignorare che quel groviglio caotico di rami, che si intrecciano a migliaia di specie selvatiche nel sottobosco di una formazione boschiva o lungo la fascia ripariale di un corso d’acqua, non è immondizia da rimuovere, ma il “motore” dei cicli biologici che supporta il fluire della vita e la stessa salute degli altri componenti.
La salute del singolo, al pari di quanto avviene in questa pandemia, dipende dal benessere dell’intera comunità e viceversa. Anche gli alberi più forti si ammalano diverse volte nel corso della loro vita e in queste situazioni, come dimostrano recenti ricerche scientifiche, la loro salute dipende dal sostegno dei loro vicini, anche se presunti deboli.
La terrificante perdita di vita selvatica e la sistematica distruzione di ecosistemi vitali rendono tutti, e quindi anche noi, maggiormente esposti ad ogni forma di calamità. La conservazione della biodiversità urbana è uscita, pertanto, dalla nicchia in cui era confinata in passato e ci obbliga a tutelare la vitalità e l’integrità di spazi ad alta naturalità.
A incentivare processi culturali, che diano senso e significato anche a lembi di vegetazione e forme di vita, che nel sentire comune sono considerate fonte di disordine o poco attraenti. La Giornata Nazionale dell’albero diventa, pertanto, un invito a stipulare un ideale contratto sociale per affrancarci da una cultura urbana, che guarda al verde e alla mitigazione del rischio per le persone e i manufatti, con un’unica strategia: tagli indiscriminati, capitozzature e scempio della vegetazione, senza garantire il rinnovo graduale, la vitalità e la continuità visiva di eco-sistemi urbani, che sono parte integrante e caratterizzante dell’ambiente cittadino.
Una logica risolutiva che perde di vista il valore della bellezza dei luoghi, l’eco-sistema e i suoi benefici, le sue interazioni, l’interconnessione tra le persone e la natura e costruisce un immaginario distorto, che non aiuta a identificare e attivare soluzioni più adatte alle nuove esigenze.
La difesa dell’Amazzonia comincia sotto casa e lo sguardo che si posa su ogni singolo albero è lo stesso che alimenta la distruzione o la valorizzazione del patrimonio naturale del pianeta. “Ci vuole un albero”, diceva una vecchia canzone, cantata da Sergio Endrigo. Nella sua semplicità questo ritornello rappresenta una potente metafora per guardare, con la logica degli alberi, anche all’attuale richiesta di distanziamento sociale. Pone come riferimento la “timidezza della corona”, termine con cui si suole indicare la distanza strategica tra le chiome degli alberi, che regolando la penetrazione della luce e delle precipitazioni, aiuta a condividere le risorse e a mantenersi tutti in salute.
Quel “tutti contro tutti” che mira non al confronto sereno, ma alla distruzione dell’altro, facendo emergere una paurosa incapacità di agire congiuntamente ci interroga tutti. La capacità d’insieme di boschi fitti e ombrosi, in cui anche la morte diventa fonte di vita per l’altro, chiama tutti a una fratellanza aperta e universale per far fronte alle patologie che ammorbano questo momento storico. Una fratellanza orientata anche alle generazioni future e che non ignora l’ingiustizia che è nel mondo.
Questa capacità di compiere scelte collettive può e deve diventare una sfida per tutti noi, ma non è spontanea; cresce lentamente come una pianta e si nutre di ambienti solidali, di un contesto culturalmente vibrante e di processi inclusivi e di governance con più attori sociali. Ha bisogno di reali processi partecipativi che non possono essere più ignorati, ma devono costituire il tratto distintivo di ogni moderna amministrazione pubblica.
- * Albano Garramone è stato Presidente del WWF Basilicata dal 1990 al 2000, nonché Responsabile della Riserva Naturale Regionale Lago di Pignola e membro del Comitato Scientifico Regionale per l’Ambiente. Ha pubblicato saggi su numerose tematiche naturalistiche, ambientali e sociali.