Il bivacco Pelino, il Cai e la lotta del movimento wilderness per l’integrità della Maiella
Notiziedeiparchi riporta una riflessione dell’Associazione Italiana per la Wilderness sul recupero del valore dei luoghi e sulla necessità di preservare la loro originaria naturalità. Ecco l’intervento che certamente stimolerà una riflessione su questi argomenti: “Il fascino della Maiella sta proprio nel fatto di saperla così selvaggia e di difficile attraversamento; sta nel fatto di sapere fin dall’inizio che ogni escursione può trasformarsi in un’avventura, che ci sono dei rischi da affrontare: eliminiamo questo fascino mediante i sopporti logistici (strade e rifugi e bivacchi) e avremo eliminato la Majella” [Franco Zunino, 1988]
Le battaglie per salvare l’integrità naturale della montagna della Maiella hanno caratterizzato i primi passi del movimento wilderness e risalgono ai primi anni ‘80. Le lotte dell’allora neonato movimento sorto per iniziativa di Franco Zunino erano indirizzate contro l’assalto alla montagna di strade, rifugi, funivie, sciovie. Importanti furono i risultati raggiunti da quelle storiche battaglie conservazioniste, che si concretizzarono con l’istituzione delle prime riserve integrali (come quella di Fara San Martino). Alla base delle posizioni del movimento wilderness c’era la volontà di preservare questo superbo e maestoso “bastione naturale” così come era sempre stato: “la Montagna della Maiella è bella coì come è giunta a noi dai tempi dei tempi, così selvaggia e impervia, così pericolosa come qualcuno la definisce (come se le automobili non fossero pericolose!) Le visioni che si colgono dal Monte Acquaviva e che abbracciano uno dei più grandi panorami d’Italia sono il premio di chi con le proprie forze e la propria volontà giunge lassù in quella solitudine”(1) . Veniva ribadita da Zunino anche la necessità di difendere quei valori culturali che sancivano da secoli l’antico rapporto dell’uomo con la natura selvaggia della Maiella, valori espressi dalla civiltà dei pastori d’Abruzzo. “Una antichissima terra di pastori, dei pastori che scrivevano versi nei silenzi della alte quote riflettendo sulla vita e sui suoi veri significati, nella loro saggezza istintiva, è rimasta la Montagna della Maiella, il cuore selvaggio dell’Appennino.”(2) Una montagna che come accennavo prima cominciò subito ad essere presa d’assalto dal turismo di massa. Una grossa parte di responsabilità in questa situazione l’ebbe il C.A.I, il Club alpino italiano di Sulmona. In una recente escursione alla Maiella ho avuto modo di valutare personalmente l’impatto di certe opere sulla cima del Monte Amaro tra cui l’ipersegnalazione dei sentieri, la presenza di croci e altra ferraglie e soprattutto l’impatto del bivacco Pelino. La vicenda che portò all’installazione del bivacco Pelino è emblematica di quel tentativo di addomesticamento e di deturpamento a fini turistico-sportivi di questa splendida montagna. La struttura fu installata agli inizi degli anni ’80 dalla sezione del C.a.i. di Sulmona: “ oscena sia per lo stile della costruzione che e il suo colore (rosso!) che per la sua localizzazione (…) Le opposizioni degli ambientalisti non servirono a nulla: l’opera venne testardemente realizzata e battezzata (dedicandola all’attuale presidente del C.A.I. di Sulmona: Alfonso Pelino!).” (3). Oggi vale ancora oggi quello che scriveva Zunino negli anni ’80: “resta comunque una vergogna che oggi il CAI, in questo caso la sezione di Sulmona, abbia provveduto ad erigere un bivacco sulla cima del Monte Amaro, nel cuore della Maiella, un vistoso bivacco in lamiere che pur essendo posto nella zona più selavaggia dell’Appennino è, per la sua posizione e per la sua struttura, visibile da tutti i luoghi attorno alla grandiosa montagna, con un effetto deprimente sull’animo di chi ama veramente la Maiella”(5) . Il bivacco era anche illegale, perché per realizzarlo si violò una legge regionale che vietava qualsiasi opera antropica oltre i 1600 mlm se non per uso dei pastori. Forse molti non sanno che il C.A.I. avrebbe voluto un rifugio anche nella Valle di Femmina Morta uno dei luoghi più integri e delicati della Maiella, da usare come tappa intermedia sulla via per il Monte Amaro! Una certa mentalità “caista” in effetti vorrebbe rifugi dappertutto. Non si capiva (e non si capisce ancora oggi) che la bellezza di un’escursione è data anche dal fatto di svolgersi in luoghi selvaggi e senza vistosi segni antropici (a parte sentieri e antichi ricoveri di pastori); che un rifugio a Femmina morta avrebbe sminuito per sempre la bellezza di quei luoghi e la stesso sapore avventuroso dell’escursione. Come scriveva Zunino: “se dovessimo costruire un bivacco in ogni luogo montano dove ‘in caso di maltempo’ potremmo rifugiarci, ne dovremmo costruire a migliaia, in ogni angolo delle nostre montagne! E non risolveremo comunque il problema, perché in caso di nebbia o bufera di neve (com’è frequente a Femmina Morta), si potrebbe anche avere a poche decine di metri il bivacco senza riuscire a trovarlo”(6) . Fu un bel pericolo scampato il rifugio a Femmina Morta! Ma oggi come è la situazione della cima del Monte Amaro? Riporto le mie osservazioni fatte in una recente escursione. A parte la vista che si può godere dalla cima, la vetta del Monte Amaro è forse il luogo più brutto della Maiella, per come è stato deturpato: oltre al bivacco Pelino, che si presenta come un enorme igloo di ferro arrugginito (sorge accanto a dei ruderi di quello che probabilmente era il vecchio rifugio) una grossa traversa di ferro segnala la cima (il mucchietto di sassi non bastava?); poco più sotto è stata installata invece un’ enorme croce di ferro, quasi a volere esorcizzare un’infantile paura dei luoghi selvaggi, anche per un credente Dio, se esiste, non ha bisogno certo di una croce di ferro per “vegliare su di noi “! ; e poi una grande targa di ferro che ricorda con frasi del tutto gratuite che bisogna rispettare e amare la montagna (meno male!); altra ferraglia di cui non ho capito la funzione. Un posto bellissimo, la cima, deturpato da quella mentalità di conquista e addomesticamento a fini turistico-sportivi della montagna che purtroppo ha caratterizzato (e caratterizza), mi dispiace dirlo, le politiche di certe sezioni del Club Alpino Italiano. Non parliamo poi delle segnalazioni fatte male e inopportune lungo il sentiero (massi e pietre imbrattate da vernice giallo-rossa e inutilmente, visto che la traccia è ben visibile) o dei “coni di cemento” portati fin quassù chissà quando e mai rimossi (su quell’altipiano sembravano davvero i marziani di.. Facisti su Marte!!!). Sarebbe opportuno aprire un dibattito, in quella che è l’associazione escursionistica più importante in Italia sull’opportunità di considerare maggiormente il valore wilderness delle nostre montagne lasciandole libere dall’impatto di opere come strade, nuovi rifugi, funivie, ipersegnalazione e altra ferraglia. Il bivacco Pelino non era necessario, come non sarebbe stato necessario un nuovo rifugio a Femmina Morta:
1.Esisteva già il rifugio Manzini.
2. Come riparo si poteva utilizzare la bellissima Grotta Canosa “uno dei bivacchi pastorali più vecchi ed ampi dell’intera Maiella, che potrebbe essere ripristinato con tecniche antiche ed adattato a scopi turistici” (7);
3.Oggi esistono sacchi a pelo che consentono di dormire a temperature molto basse (fino a – 16) e tende ultratecnologiche. Io stesso ho dormito comodamente in tenda anche d’inverno sotto una tormenta di neve e non ho avuto bisogno di bivacchi e di ripari. La montagna richiede esperienza, attrezzatura e addestramento, non la possiamo addomesticare pensando che TUTTI vi possano accedere facilmente e in qualsiasi situazione;
4. Lo spirito dell’escursionismo wilderness è “non lasciare traccia”, come dicono gli americani, il che significa rispettare l’ambiente selvaggio della montagna lasciandolo libero da opere antropiche. In alta quota si possono solo montare e smontare tende… non certo edificare rifugi in cemento o bivacchi in lamiera come il rifugio Pelino!
(1) Zunino F., Doc. Wilderness, gennaio 1983
(2) Zunino F., Doc. Wilderness, aprile 1981
(3) Zunino F. Doc. Wilderness, aprile-giugno 1988
(4) Zunino F. Doc. Wilderness, agosto 1981
(5) Ibid.
(6) Zunino F. Doc. Wilderness, aprile-giugno 1988
(7) Ibid.